IL PAPA CHE FECE LA STORIA
Quindicesimo anniversario della scomparsa di Giovanni Paolo II

02/04/2020

Città di Paullo

 

Era il 2 aprile 2005, di sera. Per la precisione erano le 21.37 quando Karol Wojtyla, Papa Giovani Paolo II, si spense, finendo la sua vita terrena ed iniziando quella del Paradiso, quella della vita eterna. Ricordo lucidamente quei momenti, dove mi trovavo, cosa stessi facendo, ecc. Era un sabato, ero appena rientrato da una lunga giornata a Bologna per seguire un corso di specializzazione che mi stava impegnando per molti fine settimana in quei mesi. Sul treno, durante il viaggio di ritorno, ricordo che cercavo informazioni sullo stato di salute del Papa, visto che – ormai – da qualche giorno era ricoverato e nulla faceva presagire al meglio. Le sue ultime apparizioni pubbliche, qualche settimana prima, erano state caratterizzate da profonda sofferenza: fisica (per il dolore) e spirituale (per il fatto che comprendeva chiaramente come la Chiesa stesse per perdere la sua guida).

L’elezione a Pontefice – 1978

Fu il primo Papa non italiano dopo ben 455 anni ininterrotti di Pontefici italiani. Fu il primo, nella storia della Chiesa, proveniente dall’Est dell’Europa, dalla Polonia per l’esattezza. Appena divenne Papa si comprese come sarebbe stato e – soprattutto – cosa sarebbe stato il suo pontificato. Le sue parole, al momento della elezione al sommo scranno della Chiesa cattolica, sono emblematiche: “Ed ecco che gli Eminentissimi Cardinali hanno chiamato un nuovo vescovo di Roma. Lo hanno chiamato da un paese lontano... lontano, ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana. Ho avuto paura nel ricevere questa nomina, ma l’ho fatto nello spirito dell’ubbidienza verso Nostro Signore Gesù Cristo e nella fiducia totale verso la sua Madre, la Madonna Santissima” (primo saluto e prima benedizione ai fedeli - Discorso di Giovanni Paolo II, lunedì, 16 ottobre 1978).

Le linee del suo pontificato

Fin dall’inizio del suo pontificato sostiene che il suo paese d’origine rappresenta qualcosa di particolare, per via della partecipazione alla grande comunità dei popoli slavi e per via della sua collocazione nell’Est comunista. Da questo punto di vista e di osservazione, l’elezione di un “papa polacco” era qualcosa che confermava la peculiarità, in quel momento, della Chiesa polacca all’interno del vasto mondo della Chiesa. Una corrente ecclesiastica – se così possiamo definirla – che necessitava di aperture e spinte, a nuove visioni, a nuove idealità.

La sua visione è sempre stata orientata ad unire e riunificare le due tradizioni culturali e di pensiero, quella orientale e quella occidentale, che all’epoca della guerra fredda si confrontano – e ancora si stavano confrontando in quel momento – in Europa. È lui che, in certo qual modo, fa uscire – dandogli voce – le richieste e le esigenze di quei popoli rimasti sostanzialmente ai margini della vita europea e della Chiesa cattolica stessa. Come venne analizzato nel dettaglio, fu il Pontefice che portò «nel suo animo profondamente impressa la storia della propria nazione ed anche la storia dei popoli fratelli e limitrofi». Egli si assunse il compito di restituire ai popoli orientali e slavi quella centralità per troppo tempo mancata nell’Europa delle nazioni e nella Chiesa cattolica.

La storia, non poteva essere diversamente, lo designò come il Papa che vide – da protagonista – il crollo del Muro di Berlino, il dissolvimento della cortina di ferro e, in sostanza, il crollo dei regimi costruiti sul socialismo reale: l’Unione Sovietica e – come un domino – tutti i Paesi satelliti ad economia pianificata dell’Est Europa.

Fu il Papa che vide, essendone quasi come il padre putativo, l’abbattimento del Muro di Berlino. Con quell’avvenimento, cambiava il mondo, cambiavano gli equilibri planetari: cambiava la geopolitica mondiale. In tutto questo è giocoforza scontato sostenere che fu il personaggio che contribuì, con il proprio carisma, a far cadere la cortina di ferro che divideva due mondi, tra loro contrapposti: l’occidente e l’area del mondo legata all’Unione Sovietica.

Le radici cristiane dell’Europa

Credeva, in profondità, a un tema, divenuto poi centro del dibattito politico a livello europeo: le radici comuni dell’Europa, fondate sul cristianesimo. Su questo possiamo dire che, seguendo una linea di pensiero consolidata, fu però – sotto certi versi – precursore di un nuovo argomento, divisivo perché polarizzante: le radici cristiane dell’Europa. Le sue parole, su questo, sono chiare ed emblematiche: “Oggi più che mai l’evangelizzazione del mondo è legata alla rievangelizzazione dell’Europa”. Ma, soprattutto, queste: “Ci troviamo in un’Europa in cui si fa ognor più forte la tentazione dell’ateismo e dello scetticismo; in cui alligna una penosa incertezza morale, con la disgregazione della famiglia e la degenerazione dei costumi; in cui domina un pericoloso conflitto di idee e di movimenti. La crisi della civiltà (Huizinga) e il tramonto dell’Occidente (Spengler) vogliono soltanto significare l’estrema attualità e necessità di Cristo e del Vangelo. […] L’Europa ha bisogno di Cristo e del Vangelo, perché qui stanno le radici di tutti i suoi popoli” (Discorso di Giovanni Paolo II sulle comuni radici cristiane delle nazioni europee, 6 novembre 1981).

La caduta dei regimi comunisti e l’apertura alla democrazia

Tornando alla caduta del comunismo e dei regimi di socialismo reale, senza nascondersi manifestava apertamente la propria soddisfazione per gli avvenimenti a ridosso del 1989. Tanto che apertamente non mancò di sottolineare il ruolo avuto dalla Santa Sede nel favorire le trasformazioni in corso – in quel momento – nell’Est dell’Europa. Ricordo, ancora, per meglio ancorare le idee e prese di posizione di Giovanni Paolo II, quanto dichiarò nel suo incontro con il Presidente dell’allora Unione Sovietica, Michail Gorbaciov: “La Santa Sede segue con grande interesse il processo di rinnovamento da lei avviato nell’URSS, augura successo ed è pronta a favorire ogni iniziativa che serva a meglio proteggere ed armonizzare i diritti ed i doveri della persona e dei popoli per salvaguardare la pace in Europa e nel mondo (discorso di Giovanni Paolo II al Presidente del Soviet supremo dell’URSS Michail Gorbaciov, venerdì 1° dicembre 1989).

Conclusioni – la Santificazione, per un Papa che ha fatto la storia

Un Papa già nella storia. Nella storia, certamente, ci sono sì tutti i Papi che si sono succeduti alla guida del Vaticano, è inevitabile, anche se nel loro cammino terreno non si sono distinti o non hanno lasciato segni indelebili. Quei segni e quelle azioni innovative che, invece, Karol Wojtyla, anche inconsciamente, ha lasciato, alla Chiesa, alla sua storia ma non solo: tracce e làsciti per il mondo intero. Dopo la sua morte, il 2 aprile del 2005, il 1° maggio 2011 è stato proclamato beato dal suo immediato successore Benedetto XVI (Joseph Ratzinger). Il 27 aprile del 2014, in una cerimonia solenne, insieme ad un altro Papa, Giovanni XXXIII, è stato proclamato Santo da Papa Francesco. Queste le parole pronunciate per la sua santificazione: “Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II hanno collaborato con lo Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria, la fisionomia che le hanno dato i santi nel corso dei secoli. Non dimentichiamo che sono proprio i santi che mandano avanti e fanno crescere la Chiesa.”.

Un Papa Santo; un Papa che ha fatto la storia.

Il Responsabile del Settore Cultura
Roberto Marraccini

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