#PaulloRicorda 23 MAGGIO 1992, STRAGE DI CAPACI: IL DOVERE DI COMBATTERE OGNI TIPO DI MAFIA

dal 23/05/2020 al 31/05/2020

Biblioteca Comunale di Paullo

 

28 anni fa come oggi, il 23 maggio 1992, lungo l’Autostrada verso Palermo, all’altezza dell’uscita del casello autostradale di Capaci, il Giudice Giovanni Falcone – insieme alla moglie (Francesca Morvillo) e gli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro – veniva barbaramente ucciso. Erano le 17.58.

Il Giudice Falcone, come era solito fare da quando era stato trasferito al Ministero, a Roma, tornava – sempre – il fine settimana, a Palermo. Quello fu l’ultimo viaggio di ritorno nella sua Palermo. Fu, quello, il viaggio finale di un uomo che dedicò l’intera vita, in maniera incessante e senza sosta, a lottare contro la mafia, nella sua Palermo, nella sua Sicilia.

Ricordo lucidamente quel giorno, era un sabato pomeriggio come tanti, spensierato. Un sabato pomeriggio di tarda primavera. I ricordi mi si dipanano nella mia mente in maniera indelebile, incancellabile. La TV, le immagini terribili, lo squarcio nel tratto di autostrada.
Ricordo come fosse ora la notizia, data da tutti i telegiornali, di quel terribile attentato. Frequentavo la quarta superiore. Capii immediatamente che, almeno per ciò che riguarda la coscienza civile di tutti i cittadini, niente sarebbe stato più come prima. Ed infatti tutto ciò che – da quel momento – ebbe a che vedere con la lotta alla mafia, non sarebbe più stato come prima.
Stavo attraversando quella fase della vita in cui si cercano le risposte sulla vita, sul significato della stessa, su quali siano i valori che si cercano come riferimento: mi trovavo nel passaggio all’età adulta. Domande, dubbi, incertezze che però, quel giorno, trovarono immediatamente una risposta: quella della giustizia e dello schierarsi, sempre e ovunque, contro la sopraffazione e contro ogni forma di mafia.
Quello fu, per il Paese intero, un sussulto, un moto di orgoglio. Il Paese si destò e decise di affrontare la mafia. Un moto di coscienza, da quel giorno, si svegliò dentro ognuno di noi.
Ventotto anni sono passati da quel giorno; sono molti anni, una generazione intera. Da allora, tanti giovani e ragazzi sono nati, cresciuti, dopo quegli orrendi delitti con i valori incarnati dal Giudice Falcone e dal Giudice Borsellino, che venne ucciso qualche mese dopo. I due uomini che hanno dato la vita per noi, per un mondo migliore, più giusto: un mondo senza mafia.
La memoria di tutti noi è ancora imprescindibilmente ancorata a quegli episodi, così limpidi ed intatti nelle nostre menti e nei nostri cuori.
Ancora oggi, a distanza di tanti anni, debbo ammettere che rivedere le immagini e i video di quei giorni mi provocano sentimenti di rabbia e impotenza, perché, nonostante lo Stato sia intervenuto con durezza e fermezza, non possiamo ancora dire che questi fenomeni siano sconfitti.
Il ricordo di quei giorni lontani di Palermo, così drammatici, così cupi e così segnati da tanta violenza ed estremo dolore, permane pienamente vivido, in Italia e nel mondo. E provoca, tuttora, orrore e coinvolgimento, non soltanto in chi li subì personalmente o in chi li visse da vicino. Ma in tutti coloro che credono nella giustizia e sognano un mondo davvero civile.
In Italia abbiamo sviluppato, nel corso degli ultimi anni, soprattutto dopo quella stagione orribile di stragi, un modello di contrasto alla criminalità organizzata che viene presa a modello in molti altri Paesi del mondo.
Ma questo, purtroppo, non basta. Dobbiamo coltivare la memoria di quegli orrendi fatti. Dobbiamo raccontarlo ai più giovani, agli studenti, alle nuove generazioni, a coloro che saranno gli uomini e le donne del futuro.
Non possiamo arretrare di un millimetro contro coloro che ci vogliono soggiogati.
È grazie ad uomini straordinari come Falcone e Borsellino che oggi possiamo affrontare la lotta alla mafia con più forza; quella forza che proprio loro ci hanno dato: la forza ed il coraggio di affrontare con fermezza ogni forma di criminalità organizzata che vorrebbe imporre il male a tutti noi.

La mafia non la si combatte solo con le Leggi, che certamente servono. La si combatte, soprattutto, con un atteggiamento etico e con la conoscenza. Senso civico. Senso di giustizia. Come diceva Peppino Impastato e come ripeté, fino all’ultimo, sua madre, Felicia Impastato: “La mafia si combatte con i libri, con le idee”.
La memoria di uomini, come Falcone e Borsellino, veri eroi, continua ad accompagnarci. E ci accompagnerà sempre. Il loro sacrificio viene, ovunque, ricordato con commozione; e il senso del loro impegno, verso le istituzioni, verso il Paese, deve essere tramandato e condiviso.
Il loro sacrificio è divenuto motore di una riscossa di civiltà, che ha dato forza allo Stato nell’azione di contrasto e ha reso ancor più esigente il dovere dei cittadini e delle comunità di fare la propria parte per cancellare – definitivamente – tutte le mafie.
Falcone e Borsellino, come tanti altri servitori delle istituzioni, caduti per mano della mafia, erano straordinari nel loro impegno ma si sentivano - ed erano - persone normali. La loro era la normalità nel darsi completamente per sconfiggere la mafia.
Falcone un giorno disse: «Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali, e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini».
Ecco la grandezza di questi uomini. Ecco cosa dobbiamo fare. Lottare, lottare con la convinzione delle nostre idee.

Il Responsabile del Settore Cultura
Roberto Marraccini

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